Fedele a Siracusa, influenzò la politica di Geronimo. Le sue macchine non bastarono a salvare la città dall’assedio romano.

Siracusa, 212 a.C. Le truppe romane, guidate dal console Marco Claudio Marcello, assediano la città. L’obiettivo non è solo la conquista, ma anche la cattura di un uomo: Archimede, il matematico che ha ostacolato Roma con le sue straordinarie macchine da guerra. Il console lo vuole vivo.
Ma la storia prende un’altra piega. Un soldato lo sorprende intento a studiare figure tracciate nella sabbia. Archimede, assorbito dalla concentrazione, lo implora: “Noli, obsecro, istum disturbare”. Il soldato però, ignorando l’ordine ricevuto, lo uccide. Con quel gesto si spegne uno dei più grandi pensatori dell’antichità, autore di studi su spirali, leve, specchi ustori. Idee così avanzate da ispirare ancora oggi ingegneri e scienziati.
Tra Alessandria e Siracusa, l’ascesa di una mente brillante
Di Archimede conosciamo più la fine che la vita. Nato a Siracusa nel 287 a.C., figlio dell’astronomo Fidia, visse nell’epoca d’oro dell’ellenismo. La città era allora sotto il governo di Gerone II, affiancato più tardi dal figlio Gelone II. Secondo il filologo Friedrich Blass, fu ad Alessandria d’Egitto che Archimede si affermò sulla scena scientifica del Mediterraneo, frequentando il Museion e la celebre Biblioteca.
Tornato a Siracusa nel 240 a.C., diede vita alle sue opere più famose, mantenendo stretti contatti con il geografo Eratostene e gli allievi di Conone di Samo. È a questo periodo che risalgono i suoi studi su cerchi, sfere, poliedri e parabole, pietre miliari della matematica.
Le invenzioni che cambiarono il mondo
A Siracusa, Archimede fu il fiore all’occhiello della corte reale. Inventò una vite per sollevare l’acqua, ancora oggi utilizzata in applicazioni idrauliche moderne. Galileo Galilei la definì “miracolosa”.
Ma la sua fama si consolidò con il principio della leva. Lo dimostrò sollevando una gigantesca nave con la sola forza delle braccia, usando una leva composta. Fu anche l’ideatore di un planetarium, una sfera celeste che simulava con precisione i moti celesti, e del celebre esperimento della corona, che lo portò a formulare il principio di Archimede. A lui si deve anche la progettazione della Siracusia, un’imponente nave lunga 55 metri.
Un’eredità dimenticata (e ritrovata)

I rapporti con i sovrani non furono sempre lineari. L’assenza di Gerone II nell’opera Arenario, dedicata invece a Gelone II, sembra indicare una preferenza politica: Gelone era vicino ai Cartaginesi, mentre Gerone sosteneva Roma. La rottura con Roma arrivò nel 215 a.C., quando Geronimo, nipote di Gerone e allievo di Archimede, scelse di allearsi con Annibale, provocando la reazione romana.
Durante l’assedio, Archimede mise a punto macchine difensive come l’artiglio meccanico e gli specchi ustori, in grado – secondo Galeno – di incendiare le navi romane. Ma nulla poté contro la potenza dell’esercito romano. E secondo lo storico Lorenzo Braccesi, la morte di Archimede non fu casuale: fu un’esecuzione ordinata da Marcello, per punire chi aveva consigliato Geronimo nel cambio di alleanza.
Dopo la sua morte, la città dimenticò il suo più grande genio. A riscoprirne la tomba fu Cicerone, nel 75 a.C., che seguì un indizio scolpito sulla pietra: una sfera dentro un cilindro, simbolo di un’equazione che ancora oggi stupisce. “Un popolo che dimentica i suoi saggi”, scrisse Cicerone, “ha bisogno di un rozzo romano per riscoprirli”.