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Il lato nascosto di Neil Armstrong: l’uomo dietro il mito

Il lato nascosto di Neil Armstrong: l’uomo dietro il mito
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Un’infanzia nomade e un amore precoce per il volo segnarono la giovinezza del primo uomo sulla Luna, sempre in cerca di riservatezza.

Il lato nascosto di Neil Armstrong: l’uomo dietro il mito
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Neil Armstrong è una delle figure più iconiche del XX secolo, ma paradossalmente resta tra le più enigmatiche. Con il suo leggendario “piccolo passo”, pronunciato il 20 luglio 1969 sulla superficie lunare, entrò nel mito. Eppure, chi era davvero l’uomo dietro quella frase? Andrew Smith, autore del libro Polvere di Luna, lo descrive così: “Cercare di descrivere Armstrong è come guidare di notte nella nebbia… alla fine vedi solo quello che ti figuri di vedere”. Una definizione che racchiude l’essenza di un uomo poco incline alla spettacolarizzazione di sé. Anche chi lavorò con lui, come Guenter Wendt della NASA, riconosceva che Armstrong “non faceva amicizia facilmente”, pur essendo stimato per la sua lealtà e professionalità.

Radici mobili, testa tra le nuvole

L’infanzia di Armstrong fu segnata da continui spostamenti. Figlio di un revisore statale, trascorse i primi 15 anni cambiando casa con una frequenza disarmante. In un mondo in continuo mutamento, i punti fermi furono i genitori, i fratelli e un amore precoce per il volo. A sei anni, grazie a un’eccezione al catechismo, salì a bordo di un trimotore Ford e capì che il cielo sarebbe stato il suo orizzonte. Rientrato a Wapakoneta, si immerse in mille attività: scuola, teatro, banda musicale, jazz. Ma soprattutto, frequentò con dedizione le lezioni di volo, ottenendo il brevetto a soli 15 anni, prima ancora di poter guidare un’auto.

Il gelo nelle vene e la Luna nel cuore

Silenzioso, riservato, appassionato di scienza e numeri, Armstrong mostrava un autocontrollo quasi disumano. Durante la guerra in Corea, pilotò un jet danneggiato riportandolo alla base, salvandosi miracolosamente. Lo stesso sangue freddo gli permise di gestire una crisi a bordo del Gemini 8, quando un guasto rischiò di farlo svenire in orbita. Anche nel 1969, durante un test con il simulatore del modulo lunare, si salvò per pochi decimi di secondo da un’esplosione, riportando solo un piccolo morso alla lingua. E infine, sull’Apollo 11, quando il computer di bordo si bloccò, fu lui a guidare manualmente il Lem fino al Mare della Tranquillità, con carburante agli sgoccioli. La voce? Sempre calma.

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Una fama rifiutata, un addio silenzioso

Dietro quella calma apparente, si celavano però anche dolore e distacco. Nel 1962, perse la figlia Karen, colpita da un tumore cerebrale. Un anno dopo, fece domanda per diventare astronauta. Il resto è storia. Dopo il trionfo lunare, Armstrong rifiutò interviste, sponsor e politica. Lasciò la NASA, accettò una cattedra universitaria e si ritirò in campagna. Perfino gli autografi cessò di firmarli, per contrastare il mercato dei falsi. La sua ultima apparizione pubblica significativa risale a decenni fa. Eppure, come scrisse il New York Times, “vive tranquillo sul suo lato nascosto della Luna”. Ma quel lato nascosto continua ad affascinare. Quando nel 2012 si spense, la famiglia chiese solo un gesto: “Guardate la Luna e fatele l’occhiolino”. Come se Neil fosse ancora lì, a sorvegliare il nostro cielo.