Salendo di quota, la temperatura dell’aria diminuisce progressivamente. Ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questo fenomeno non dipende direttamente dalla distanza dal Sole.

Una delle prime cose da chiarire è che l’atmosfera non si riscalda direttamente grazie ai raggi solari. Quando la luce del Sole attraversa l’atmosfera, una parte viene assorbita da gas e particelle sospese, ma la frazione più consistente raggiunge la superficie terrestre. È qui che avviene il vero riscaldamento.
Il suolo – e ancor più le grandi masse d’acqua – assorbe l’energia solare e la riemette sotto forma di calore (infrarossi). Questo calore, a sua volta, viene trasferito agli strati d’aria più vicini al suolo per conduzione e convezione. In pratica, è il terreno (o il mare) a “scaldare” l’aria sovrastante, non il Sole in modo diretto. Da ciò deriva una logica conseguenza: più ci si allontana dalla superficie, meno calore si riceve.
Il ruolo chiave delle masse d’acqua e della distribuzione del calore
I mari e i laghi giocano un ruolo fondamentale nella regolazione del clima. Rispetto alla terraferma, l’acqua impiega più tempo a riscaldarsi, ma trattiene il calore più a lungo. Per questo motivo, le regioni costiere o insulari godono di un clima più temperato e meno soggetto a sbalzi termici, mentre le aree continentali, soprattutto interne o montuose, registrano forti escursioni di temperatura tra giorno e notte.
L’acqua agisce come una “riserva termica”: accumula calore lentamente durante il giorno o l’estate, e lo rilascia gradualmente durante la notte o in inverno. Questa caratteristica contribuisce a stabilizzare le temperature in prossimità di mari e oceani, mentre in alta montagna o nelle zone interne la variazione termica è più marcata proprio perché l’accumulo e la dispersione di calore avvengono più rapidamente.
Aria in movimento e scambi termici inefficaci
Un altro fattore fondamentale da considerare è la dinamica dell’aria. L’atmosfera terrestre non è un sistema statico, ma in continuo movimento. Le masse d’aria si spostano, si mescolano, salgono e scendono, dando luogo a un rimescolamento continuo che impedisce l’accumulo stabile di calore.
Quando l’aria calda sale (fenomeno noto come convezione), si espande a causa della minore pressione presente in quota. Questo processo provoca un raffreddamento spontaneo e costante, noto come gradiente termico verticale. In media, la temperatura diminuisce di circa 6,5 °C ogni 1.000 metri di altitudine. È per questo motivo che anche in piena estate le cime delle montagne possono essere coperte di neve.
Questo meccanismo è indipendente dalla latitudine o dal clima locale: che ci si trovi sulle Alpi, sulle Ande o sull’Himalaya, il raffreddamento ad alta quota segue la stessa logica fisica.
Perché fa più freddo in montagna anche con il sole?
Può sembrare controintuitivo, ma la radiazione solare è più intensa in montagna rispetto alle zone pianeggianti, proprio perché l’atmosfera è più rarefatta e filtra meno raggi UV. Tuttavia, l’aria rarefatta ha una minore capacità di trattenere il calore, e nonostante il cielo limpido e il Sole alto, le temperature restano più basse.
Inoltre, il calore non viene trattenuto a lungo, perché il suolo roccioso delle montagne si riscalda velocemente ma disperde altrettanto rapidamente la sua energia, soprattutto dopo il tramonto.
Conclusione implicita
Insomma, non è l’altezza a “raffreddare” l’aria, né la distanza dal Sole: il freddo in quota è il risultato della fisica dell’atmosfera, della convezione e dell’inefficiente capacità dell’aria rarefatta di trattenere il calore. Ecco perché, anche con il sole alto nel cielo, le cime restano gelide.