I fenomeni climatici estremi generano stress termico, notti tropicali e pressione su risorse idriche ed energetiche urbane.

Siccità e ondate di calore vengono spesso nominate insieme, ma si tratta di eventi climatici diversi. La siccità riguarda la carenza d’acqua, mentre le ondate di calore indicano periodi prolungati di temperature eccezionalmente alte. Tuttavia, quando si verificano in contemporanea o in successione ravvicinata, possono innescare una sorta di reazione a catena. Il World Drought Atlas parla di “pericoli composti”: il caldo può aggravare una siccità esistente, oppure anticiparne una. Allo stesso modo, suolo secco e vegetazione stressata favoriscono un più rapido riscaldamento dell’aria, intensificando il calore.
Le conseguenze si distribuiscono su più livelli: dalla perdita di raccolti al razionamento idrico nelle città, fino al collasso degli ecosistemi. Diverse tipologie di siccità raccontano l’interazione con il caldo. Quella meteorologica è causata da mancanza di pioggia; quella agricola, invece, dipende anche dall’aumento dell’evapotraspirazione dovuto al caldo. La siccità idrologica si verifica quando calano i flussi nei fiumi e nelle falde, mentre nelle aree montane la mancanza di neve (siccità nivale) altera il ciclo idrico stagionale. Infine, anche senza una vera siccità in atto, il calore può creare condizioni di stress idrico per la popolazione, generando una siccità socio-economica.
Cosa rende un’ondata di calore davvero tale

Non basta dire che “fa molto caldo” per parlare di ondata di calore. In meteorologia, il termine indica un periodo di almeno tre giorni consecutivi in cui sia le temperature massime che quelle minime superano il 90° percentile rispetto ai valori storici di riferimento per quella zona. Ogni area geografica ha quindi soglie diverse, basate su medie climatologiche (come il trentennio 1991–2020).
Il sistema europeo Copernicus, tramite le piattaforme EDO e GDO, monitora questi eventi identificando anomalie giornaliere simultanee di temperatura massima e minima. Questo permette di rilevare anche ondate anomale fuori stagione – per esempio in primavera o in inverno – con effetti potenzialmente molto impattanti.
In contesti urbani, si valuta anche l’ondata di calore percepita: temperatura reale, umidità e condizioni ambientali si combinano, influenzando il benessere termico. Le cosiddette notti tropicali – quando la minima notturna non scende sotto i 20 °C – impediscono al corpo di recuperare, spingendo in alto la domanda di acqua, energia e assistenza sanitaria, soprattutto per i soggetti più fragili.
Leggere l’emergenza con gli strumenti giusti
Capire se stiamo entrando in una fase critica richiede più di un semplice dato sulla pioggia o sul termometro. Gli scienziati utilizzano diversi indicatori per rilevare i segnali precoci di siccità e stress termico. Lo SPI (Standardized Precipitation Index) misura le anomalie di precipitazione rispetto alla media, ed è utile per le siccità meteorologiche, ma non considera l’impatto delle alte temperature.
Per questo si usa spesso lo SPEI (Standardized Precipitation-Evapotranspiration Index), che aggiunge la componente termica e valuta l’equilibrio tra acqua disponibile e fabbisogno climatico. Lo SMA (Soil Moisture Anomaly) misura l’umidità del suolo, parametro cruciale per agricoltura ed ecosistemi. E infine, il CDI (Combined Drought Indicator) unisce SPI, SMA e la produttività vegetativa (fAPAR) per una valutazione integrata della siccità.
«È fondamentale usare indicatori che incorporino la componente termica», spiegano Luca Trotter e Michel Isabellon della Fondazione CIMA. «L’evapotraspirazione indotta dal calore può peggiorare lo stato idrico del suolo in pochi giorni. Se guardassimo solo allo SPI, ci perderemmo metà della storia».
Quando la combinazione diventa amplificatore climatico

L’interazione tra caldo estremo e siccità rappresenta una delle espressioni più insidiose del cambiamento climatico. I due fenomeni, quando si sovrappongono, si alimentano a vicenda, amplificando durata, intensità e impatto. Questo meccanismo di amplificazione rende le crisi ambientali più difficili da prevedere e gestire.
Ecco perché è fondamentale saper leggere gli indizi invisibili: un calo dell’umidità del suolo, una notte troppo calda, una curva di evapotraspirazione che schizza in alto. I numeri dietro a sigle come SPI, SPEI, SMA o CDI non sono semplici strumenti tecnici: sono chiavi per capire se siamo di fronte a un’anomalia temporanea o a un segnale di trasformazione climatica profonda. Solo conoscendo i meccanismi di fondo possiamo prepararci ad affrontarli.