Grazie a una risoluzione decennale, lo studio mostra affinità con i cicli climatici groenlandesi, mai documentate prima in Africa.

Grazie a un’indagine pubblicata su Communications Earth & Environment, un team internazionale di ricercatori ha ricostruito il clima degli ultimi 200.000 anni nell’odierna Etiopia, svelando dettagli senza precedenti sul contesto ambientale in cui vissero i primi Homo sapiens. Guidati da Frank Schaebitz dell’Università di Colonia, gli studiosi hanno analizzato sedimenti prelevati dal bacino del lago Chew Bahir, nel sud del Paese, dove sono stati ritrovati numerosi fossili umani.
La particolarità di questo studio sta nella sua eccezionale risoluzione temporale: i dati climatici sono stati ricavati con un dettaglio che arriva fino a intervalli di appena dieci anni. I risultati mostrano che tra 200.000 e 125.000 anni fa il clima della regione era piuttosto umido, offrendo condizioni favorevoli alla vita grazie ad abbondanti risorse idriche e alimentari. A partire da 125.000 anni fa, tuttavia, iniziò una lenta transizione verso condizioni più aride, culminate in una fase di estrema siccità tra 60.000 e 14.000 anni fa.
I segreti nascosti nei laghi

Per ottenere questi dati, gli scienziati si sono concentrati sui sedimenti lacustri: veri archivi naturali del passato. I laghi, infatti, raccolgono continuamente strati di sedimenti provenienti da bacini idrografici molto ampi, ricchi di minerali, materiale organico e resti di organismi. Questi strati si accumulano anno dopo anno, permettendo una lettura stratigrafica dettagliata delle condizioni ambientali.
Durante una campagna condotta tra novembre e dicembre 2014, i ricercatori hanno perforato per circa 300 metri il fondo prosciugato del Chew Bahir. La carota estratta ha offerto una cronologia climatica che si estende fino a 620.000 anni fa, anche se la precisione diminuisce andando indietro nel tempo. Per quanto riguarda l’epoca dell’Homo sapiens, però, la qualità dei dati è straordinaria: alcune sezioni permettono di analizzare le variazioni climatiche decennio per decennio, un dettaglio mai raggiunto prima nell’Africa orientale.
Mutamenti rapidi e adattamenti umani
Oltre ai lunghi cicli di umidità e aridità, l’analisi ha evidenziato fluttuazioni rapide e improvvise. In particolare, i ricercatori hanno osservato schemi simili a quelli noti dagli studi sulle carote di ghiaccio della Groenlandia, suggerendo che anche l’Africa orientale fosse soggetta a oscillazioni climatiche su scala relativamente breve.
«Possiamo dire con certezza che le popolazioni vissute in Africa orientale in quel periodo sperimentarono cambiamenti ambientali estremi in tempi molto brevi», ha dichiarato Schaebitz. Durante le fasi più aride, tra 60.000 e 14.000 anni fa, alcune comunità si adattarono spostandosi verso le montagne etiopi, mentre altre iniziarono la lunga migrazione fuori dal continente. Proprio in quel contesto di stress ambientale, si osserva anche un’evoluzione significativa negli strumenti e nelle armi, probabilmente guidata dalla necessità di affrontare nuove sfide.
La cronologia dell’esodo umano
Le scoperte combaciano perfettamente con le evidenze genetiche sull’origine e la dispersione dell’Homo sapiens. I dati sul DNA indicano che i nostri antenati iniziarono a lasciare l’Africa tra 70.000 e 50.000 anni fa, per poi approdare in Europa sud-orientale tra 50.000 e 40.000 anni fa, dove incontrarono i Neanderthal.
Queste ricostruzioni climatiche, dettagliate fino a singoli decenni, gettano nuova luce sul contesto che ha accompagnato la nascita e l’espansione dell’uomo moderno. L’Africa orientale, culla della nostra specie, emerge così come teatro di una lunga storia di adattamenti, innovazioni e migrazioni guidate – anche – dal ritmo instabile del clima.