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Chi sceglie i nomi degli uragani? La regola dietro a Beryl, Helene, Milton (e Katrina)

Chi sceglie i nomi degli uragani? La regola dietro a Beryl, Helene, Milton (e Katrina)
Photo by fiquetdidier1 – Pixabay
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Dietro ai nomi degli uragani non c’è improvvisazione: liste ufficiali, alternanza tra nomi maschili e femminili e criteri linguistici precisi regolano l’identificazione dei cicloni tropicali in tutto il mondo.

Chi sceglie i nomi degli uragani? La regola dietro a Beryl, Helene, Milton (e Katrina)
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Nel 2024 i nomi Beryl, Helene e Milton hanno dominato le cronache meteorologiche. Come dimenticare poi Katrina, che nel 2005 devastò New Orleans? A dispetto di quanto si possa pensare, i nomi degli uragani non vengono scelti al momento, né derivano da casualità o emotività. Esistono liste predefinite, create per facilitare la comunicazione tra meteorologi, media e istituzioni, soprattutto nei momenti di emergenza. Parlare di “Uragano Milton” è molto più chiaro che fare riferimento a coordinate geografiche o dati tecnici: serve a informare rapidamente la popolazione, anche quando più tempeste si sviluppano nella stessa area.

Da dove arrivano i nomi? E perché si alternano?

L’abitudine di dare un nome proprio agli uragani nasce nel Nord Atlantico a metà del Novecento, quando i meteorologi iniziarono a identificare i cicloni con nomi femminili, in ordine alfabetico. Così, il primo uragano dell’anno riceveva un nome con la lettera A (es. “Anna”), il secondo con la B (es. “Betty”) e così via, escludendo alcune lettere meno comuni. La scelta iniziale esclusivamente femminile rifletteva, probabilmente, un retaggio culturale marinaro – oggi superato – secondo cui le donne “portavano sfortuna in mare”. Nel 1979, il sistema è stato aggiornato con l’inserimento dei nomi maschili, alternati a quelli femminili. Oggi, la World Meteorological Organization (WMO) gestisce queste liste, una per ciascuna regione del pianeta soggetta a cicloni tropicali.

Sei liste per l’Atlantico e nomi che si possono “ritirare”

Nell’Oceano Atlantico del Nord si utilizzano sei liste cicliche, una per ogni anno, che si ripetono ogni sei anni. Se nel 2024 un ciclone ha avuto un certo nome, verrà riutilizzato nel 2030… a meno che quell’uragano non abbia causato distruzione o vittime significative. In quel caso, il nome viene ritirato per rispetto e sensibilità, come accaduto a Katrina, sostituito in seguito da “Katia”. Ogni lista annuale comprende 21 nomi, escludendo le lettere Q, U, X, Y e Z, troppo difficili per trovare nomi semplici e universalmente pronunciabili. Se in un anno si superano i 21 uragani, si attiva una lista supplementare, pronta all’uso.

Regole globali e suddivisione in aree

Il sistema non è identico in tutto il mondo. La WMO suddivide il globo in 10 aree principali, ciascuna con le proprie liste. Per esempio, le tempeste nell’Atlantico del Nord seguono una logica diversa rispetto a quelle del Pacifico Occidentale o dell’Oceano Indiano. I criteri, però, sono comuni:

  • I nomi devono essere facili da pronunciare nelle lingue locali
  • Devono essere brevi, mai derivati da personaggi famosi
  • Ogni nome è unico per ogni zona: un uragano “Milton” in Atlantico non potrà esistere anche nel Pacifico
    Le aree di riferimento includono il Mar dei Caraibi, il Golfo del Messico, il Pacifico settentrionale, l’Oceano Indiano, ma anche regioni gestite da specifici centri regionali, come l’Australia o l’Indonesia. A ogni zona corrisponde un sistema preciso di allerta e gestione. Un lavoro invisibile, ma fondamentale, che sta dietro ogni nome che sentiamo al telegiornale: non un semplice appellativo, ma uno strumento chiave per la sicurezza collettiva.