I dati raccolti in Giappone mostrano che le tempeste potrebbero non essere state solo leggenda, ma eventi meteorologici reali.

Per secoli, le cronache giapponesi hanno tramandato una storia affascinante: due potenti tifoni, chiamati “kamikaze” – venti divini – avrebbero salvato il Giappone da un’invasione mongola guidata da Kublai Khan, nel XIII secolo. Quei fenomeni atmosferici, tanto prodigiosi da ispirare il nome dei piloti suicidi della Seconda Guerra Mondiale, sono stati a lungo considerati parte del mito nazionale. Eppure, nuove scoperte scientifiche suggeriscono che quei tifoni potrebbero essere stati reali.
Tracce nei laghi antichi
Lo studioso Jon Woodruff, ecologo dell’Università del Massachusetts Amherst, ha rinvenuto indizi concreti nei sedimenti di alcuni laghi costieri dell’isola di Kyushu, nel sud del Giappone. Proprio in quelle acque, non lontano dai luoghi dove affondò la flotta mongola, sono state identificate tracce di eventi climatici estremi risalenti al XIII secolo. Nei letti dei laghi, strati profondi contengono sedimenti clastici e metalli come lo stronzio, trasportati probabilmente da onde di marea provocate da forti tempeste. In un altro lago, il team ha rilevato anche depositi di titanio, forse trasportati da un fiume vicino durante lo stesso periodo.
Il mito e la realtà storica
Nel 1274 e nel 1281, Kublai Khan lanciò due imponenti offensive navali contro il Giappone, radunando oltre 140.000 uomini tra marinai cinesi e coreani. Nonostante la superiorità numerica, entrambe le spedizioni fallirono. Secondo la tradizione, a distruggere le navi furono due tempeste improvvise e distruttive. Ma tifoni di tale intensità sono rari in quella regione, e i racconti storici sono ambigui: una cronaca samuraica del primo scontro parla semplicemente di “vento favorevole”, senza fare riferimento a un tifone vero e proprio.

L’intervento decisivo degli uomini
A gettare ulteriore luce sulla vicenda, ci sono anche indizi di un’azione militare giapponese ben orchestrata. Accanto ai resti delle imbarcazioni mongole, sono stati ritrovati relitti carbonizzati, segno che la marina locale avrebbe colpito attivamente la flotta nemica con navi incendiarie. Un dettaglio che ridimensiona la componente “miracolosa” dell’evento, suggerendo che i venti, per quanto potenti, non agirono da soli. Tra leggenda e realtà, il confine resta sfumato, ma la scienza continua a scavare – letteralmente – per portare alla luce la verità.