Affascinanti, imprevedibili, spesso fragorosi: i temporali sono tra i fenomeni atmosferici più spettacolari, ma anche tra i meno compresi.

Tutto inizia con una singola nube, bianca e soffice, che galleggia solitaria in un cielo sereno. Ha la forma che fin da bambini abbiamo imparato a riconoscere e a disegnare con i pastelli: rotondeggiante, candida, quasi rassicurante. Ma presto ne compare un’altra, poi un’altra ancora. Le nubi si moltiplicano, si raggruppano, si addensano. In poco tempo si trasformano in un manto compatto, sempre più scuro, che avvolge il cielo. Il vento si alza, prima lieve poi a raffiche, scuotendo gli alberi. Un lampo squarcia le nubi e subito dopo un tuono rimbomba nell’aria, aprendo le danze alla pioggia: prima leggera, poi intensa, con gocce grosse e fitte che battono sul terreno. È il momento più spettacolare del temporale, quello che ci affascina – e spesso ci sorprende.
Non basta la pioggia: cos’è davvero un temporale?
Tuoni, fulmini, scrosci d’acqua, raffiche di vento. I temporali coinvolgono tutti i sensi: luce, suono, colore, movimento. Ma nonostante l’esperienza comune, molti aspetti di questi fenomeni restano poco noti. Ad esempio, non è la pioggia a definire un temporale. Secondo la classificazione meteorologica, un temporale esiste solo se sono presenti fenomeni elettrici: tuoni e fulmini. Si può avere dunque un temporale “asciutto”, senza una goccia d’acqua. Al contrario, una pioggia torrenziale priva di attività elettrica si definirà rovescio, scroscio o acquazzone, ma non temporale. E se state pensando di chiamarlo “bomba d’acqua”, meglio trattenersi: l’espressione fa inorridire qualunque meteorologo.
Dall’aria calda alle nubi a incudine: come nasce un temporale
L’origine di un temporale risiede nei moti convettivi dell’atmosfera. In parole semplici: quando l’aria calda vicino al suolo si solleva rapidamente verso l’alto, può innescarsi la formazione di nubi temporalesche. Questo avviene in diversi modi. Può essere il suolo surriscaldato dal sole a trasferire calore agli strati d’aria inferiori, come spesso accade in estate. Oppure può entrare in gioco l’incursione di una massa d’aria fredda, che si infila sotto l’aria più calda e la spinge verso l’alto: è il meccanismo dei temporali frontali. Anche la presenza di rilievi montuosi può forzare l’ascesa dell’aria. In tutti i casi, il vapore acqueo che si condensa in quota forma imponenti cumulonembi, le classiche nubi a forma di incudine o di cavolfiore, che possono estendersi fino a 10–12 chilometri di altezza. Ogni singola cella temporalesca dura in media 30–40 minuti, ma i temporali più lunghi derivano da una sequenza di celle che si rigenerano, insistendo sulla stessa area per ore.
Quando e dove colpisce: la difficile arte di prevedere un temporale

Ogni giorno sulla Terra si scatenano circa 45.000 temporali, per un totale di oltre 16 milioni l’anno. Ma la loro distribuzione non è affatto casuale. Nell’emisfero settentrionale, e in particolare in Italia, sono più frequenti tra la primavera e l’estate, soprattutto nel tardo pomeriggio e nelle ore serali. Il motivo? I cosiddetti “temporali di calore” nascono quando il suolo, riscaldato durante il giorno, cede calore all’aria sovrastante, innescando il sollevamento convettivo. I temporali frontali o orografici, invece, possono verificarsi in qualsiasi stagione o momento della giornata. Ma anche sapendo questo, la previsione resta complicata. I temporali sono fenomeni locali, talvolta così circoscritti da colpire una parte della città e risparmiare l’altra. Ecco perché, anche con le tecnologie più avanzate, non è realistico prevederne con certezza l’insorgenza se non a poche ore di distanza. Quindi sì, meglio pensarci due volte prima di prenotare una grigliata domenicale fidandosi ciecamente dell’app meteo. Il rischio? Un temporale a ciel sereno. In tutti i sensi.