Tracce di stronzio e titanio nei sedimenti lacustri suggeriscono eventi climatici estremi durante le due spedizioni mongole.

Secondo la tradizione giapponese, due violenti tifoni—battezzati “kamikaze”, ovvero “venti divini”—sarebbero intervenuti provvidenzialmente per respingere le imponenti flotte mongole guidate da Kublai Khan, nel 1274 e nel 1281. Eventi tramandati come miracoli salvifici, tanto potenti da aver ispirato secoli dopo i piloti suicidi della Seconda Guerra Mondiale. Ma quei venti erano davvero solo leggenda?
Indizi sepolti nei laghi
Oggi, nuove scoperte potrebbero dare una base scientifica a questo racconto. Jon Woodruff, ecologo dell’Università del Massachusetts Amherst, ha analizzato i letti di antichi laghi costieri sull’isola di Kyushu, non lontano dal punto in cui vennero ritrovati i relitti dell’armata mongola. I sedimenti raccolti—strati profondi di materiale trasportato da antiche tempeste—sembrano raccontare una storia coerente con quella dei tifoni. Emerge così un possibile legame tra i racconti del passato e tracce geologiche ben reali.
Tracce di disastri naturali
Nel lago Daija, vicino alla costa meridionale, sono state rinvenute grandi quantità di sedimenti clastici e stronzio, elementi che suggeriscono l’azione di onde anomale e venti violenti capaci di trascinare nel bacino materiale dalla spiaggia. In un altro lago dell’ovest dell’isola, il team ha identificato sedimenti contenenti titanio, probabilmente eroso dal letto di un fiume. Entrambi i depositi, datati al carbonio, coincidono sorprendentemente con gli anni delle due invasioni mongole. Indizi, certo, ma che puntano tutti nella stessa direzione.

L’aiuto del clima… e dell’uomo
Nonostante le nuove prove, il mito dei kamikaze resta avvolto in un alone di incertezza. Alcuni documenti storici, come la testimonianza di un samurai presente alla prima battaglia, parlano soltanto di “un vento favorevole”, senza menzionare tempeste catastrofiche. Inoltre, tra i relitti delle navi mongole sono state trovate imbarcazioni bruciate: segni di una controffensiva giapponese che avrebbe contribuito alla disfatta. Forse, dunque, non fu solo la furia della natura a fermare l’invasione, ma anche la determinazione degli uomini.