Miti antichi condivisi tra culture distanti e figure enigmatiche sembrano suggerire una possibile origine extraterrestre dell’umanità.

E se l’evoluzione umana non fosse solo il risultato di processi naturali? Alcuni studiosi non convenzionali, a partire dalla fine degli anni ’50, hanno avanzato una tesi affascinante: la Terra sarebbe stata un gigantesco laboratorio, e gli esseri umani il risultato finale di esperimenti condotti da intelligenze aliene avanzatissime. A sostegno di questa ipotesi, vengono citati antichi miti, leggende condivise da popoli lontanissimi tra loro, e reperti archeologici anacronistici difficili da spiegare con le interpretazioni tradizionali.
Dèi discesi dal cielo o visitatori interstellari?
Il promotore più noto di questa visione è lo scrittore svizzero Erich Von Däniken. Secondo lui, la mitologia antica non sarebbe semplice allegoria, ma cronaca distorta di eventi reali: incontri tra umani e esseri giunti dallo spazio. Perché, si chiede Von Däniken, in quasi tutte le culture antiche esiste il racconto di divinità che scendono dal cielo?
Secondo l’interpretazione classica, si tratta di simboli per descrivere forze naturali incontrollabili. Ma se, invece, si trattasse di reali contatti con civiltà aliene, i cui mezzi tecnologici e aspetto avrebbero lasciato un’impronta indelebile nell’immaginario collettivo?
Pitture rupestri e figure enigmatiche
Le prove? Per i sostenitori di queste teorie, alcune rappresentazioni rupestri sarebbero testimonianze visive di quei contatti. Sui monti Tassili, in Algeria, appaiono figure antropomorfe con caschi, elmetti e tute che ricordano equipaggiamenti spaziali. Scene simili compaiono anche in Italia, nella Val Camonica. Secondo Von Däniken, questi “ritratti” non sarebbero frutto di fantasia, ma vere e proprie rappresentazioni di visitatori extraterrestri osservati dagli antichi.

Reperti misteriosi e artefatti fuori dal tempo
Anche manufatti più recenti vengono citati come presunti indizi: il famoso bassorilievo all’interno del Tempio delle Iscrizioni, in Messico, raffigura l’“astronauta di Palenque”, una figura che sembra controllare una navicella spaziale. Oppure le statue “dogu” del Giappone, con visiere e tute che ricordano quelle moderne. E ancora: microscopiche spirali in lega di tungsteno, rinvenute negli Urali e datate al Pleistocene, che appaiono troppo sofisticate per l’epoca. Oggetti, questi, che gli appassionati definiscono “out of place artifacts”, perché sembrano sfidare ogni logica archeologica convenzionale.