Tuoni che scuotono il silenzio, fulmini che fendono il buio: i temporali notturni da sempre evocano mistero.

Nelle vallate delle Alpi occidentali, tra Valsesia, Ossola e Canavese, vive ancora oggi il racconto delle “streghe del temporale”. Si narra che, in certe notti estive, quando i fulmini si rincorrono tra le cime, le streghe si librino in aria per radunarsi tra le nuvole. I tuoni? Sarebbero i colpi dei loro bastoni e l’eco dei canti lanciati tra le rocce del cielo.
In passato, per proteggersi da queste presenze, gli abitanti facevano suonare le campane “a martello”: un rintocco frenetico pensato per spezzare la furia del temporale e mettere in fuga le entità maligne. In alcuni borghi piemontesi e lombardi, questa usanza si rinnova ancora durante le feste tradizionali, ogni volta che le nubi si addensano improvvise.
Il potere silenzioso delle forbici in Friuli
In Friuli Venezia Giulia, la tradizione assegnava a oggetti comuni un potere straordinario. Bastava poggiare due forbici incrociate sul davanzale e pronunciare una formula tramandata oralmente per fermare la grandine in arrivo. Il gesto non era solo simbolico: si credeva che le lame potessero “chiudere” il cielo, tagliando le nubi prima che potessero aprirsi.
Era un rito tanto semplice quanto radicato, spesso affidato alle donne più anziane del paese, considerate custodi di saperi antichi e protettrici delle case. E ancora oggi, tra le pieghe della memoria popolare, c’è chi giura che funzionasse davvero.

Campane che sfidano i fulmini: suoni contro le tempeste
Dal cuore dell’Emilia fino alla Basilicata, le campane hanno avuto un ruolo centrale nella difesa dalle tempeste. Quando i fulmini si avvicinavano nella notte, le chiese suonavano una piccola campana detta “del tempo”, convinte che il suo suono potesse infrangere la tensione elettrica e dissolvere il temporale.
Questa credenza era così diffusa da essere riportata in manuali religiosi dell’Ottocento, conservati a Padova e Napoli, che contenevano vere e proprie preghiere da recitare “in ore noctis”, quando il cielo minacciava grandine e devastazione. Una fede, quella nei suoni benedetti, che univa sacro e profano in un’unica invocazione alla quiete.
Venti oscuri e lampi d’anima nelle terre del Nord
Oltre i confini italiani, anche la Bretagna conserva echi di tempeste leggendarie. Qui si raccontava del “carro del diavolo”, un fragore lontano che si faceva via via più vicino, accompagnato da raffiche violente e bagliori improvvisi. Per i contadini bretoni, non era solo maltempo: era il segnale di una presenza oscura in marcia.
Sulle isole Shetland, invece, i pescatori tramandavano storie di “fulmini fantasma”: scintille nel cielo che non colpivano mai terra, ma fluttuavano sull’orizzonte. Si diceva fossero le anime dei marinai scomparsi in mare, tornate per cercare il faro e ritrovare la via verso casa. Fenomeni inquietanti, capaci di trasformare ogni notte di tempesta in un racconto da ricordare.