Le gocce sopraffuse si congelano al contatto con il suolo gelido, formando uno strato invisibile e scivoloso sulle superfici urbane.

Durante l’inverno, l’arrivo di masse d’aria polare o continentale può creare condizioni particolari nei fondovalle e nelle aree pedemontane. Qui, l’aria fredda tende a ristagnare, formando un vero e proprio “cuscino” gelido che rimane intrappolato al suolo, soprattutto in presenza di alta pressione. Questo fenomeno, noto come inversione termica, regala scenari curiosi: mentre le Prealpi godono di giornate miti e soleggiate, più in basso il freddo si fa intenso, con temperature minime abbondantemente sotto lo zero e massime più basse rispetto alle quote più alte.
La stabilità atmosferica favorisce anche la formazione di nebbie fitte e persistenti, che stentano a dissolversi persino nelle ore centrali del giorno. Dall’alto, da Brunate o da altri punti panoramici prealpini, lo sguardo può spaziare sulla pianura lombarda, spesso nascosta da uno spesso strato di smog – il mix tra fumo e nebbia – che inghiotte i centri abitati, inclusa talvolta anche la convalle comasca.
Nevicate di raddolcimento: il preludio al ghiaccio invisibile
Quando l’aria calda e umida risale dai quadranti meridionali, in concomitanza con una saccatura, si innescano le cosiddette nevicate di “raddolcimento”, tipiche del Comasco e delle pianure del Nord-ovest. Il termine descrive bene ciò che accade: l’arrivo della neve coincide con un lieve aumento delle temperature, che si avvicinano allo zero, rendendo il clima meno pungente.
Questo scorrimento di aria tiepida sopra uno strato freddo preesistente genera una copertura nuvolosa diffusa, capace di portare precipitazioni continue e persistenti, generalmente deboli o moderate. La neve riesce a raggiungere anche le quote pianeggianti o collinari quando il profilo verticale delle temperature, l’umidità e l’intensità del fenomeno lo consentono. Ma non sempre la storia si conclude con fiocchi bianchi e scenari ovattati.
Dalla pioggia al gelicidio: quando il pericolo si fa trasparente
Se i fiocchi di neve in quota attraversano uno strato d’aria a temperatura positiva, di +2°C o più, si sciolgono e si trasformano in gocce di pioggia. Il problema nasce quando queste gocce, ancora relativamente calde, incontrano uno strato al suolo che resta ampiamente sotto lo zero. Il risultato? Le condizioni ideali per il gelicidio.
Le goccioline d’acqua, scivolando in questo strato freddo, non ghiacciano immediatamente: si mantengono in uno stato particolare detto sopraffuso, ovvero liquido nonostante la temperatura negativa. Appena toccano una superficie – che sia asfalto, foglie, rami o cavi – si congelano istantaneamente, creando uno strato liscio, sottile e trasparente di ghiaccio: il famigerato vetrone. Invisibile ma scivolosissimo, rappresenta un serio pericolo sia per i pedoni che per i mezzi in circolazione.
Sopraffusione: l’acqua che sfida la fisica

L’acqua possiede una caratteristica straordinaria: può trovarsi contemporaneamente in stato solido, liquido e gassoso. Ma ciò che avviene nel gelicidio sfida anche l’intuizione. Le gocce che si formano per condensazione nell’aria possono restare liquide anche sotto zero, perché per cristallizzarsi necessitano di un punto d’innesco – i cosiddetti nuclei glaciogeni – spesso assenti nell’atmosfera. Si tratta di minuscoli frammenti di minerali o polveri capaci di avviare il processo di congelamento.
In assenza di questi “inneschi”, le goccioline resistono al gelo, rifiutandosi di solidificarsi fino a temperature estreme, anche oltre i -35°C. Ma basta il contatto con una superficie fredda perché si attivi la reazione: l’urto tra molecole scatena una rapida cristallizzazione, trasformando l’acqua in un velo di ghiaccio perfettamente aderente. Il fenomeno, tanto affascinante quanto pericoloso, è uno degli effetti più insidiosi del freddo invernale.