Estati torride, inverni tiepidi e stagioni imprevedibili: secondo un nuovo studio, non stiamo solo perdendo le vecchie stagioni, ne stiamo creando di nuove.

Per anni l’abbiamo detto quasi per scherzo: “non ci sono più le mezze stagioni”. Oggi quella frase assume contorni sempre più concreti. Le estati si allungano e si surriscaldano, gli inverni si fanno più miti, mentre primavera e autunno appaiono sempre più disorientati, incapaci di seguire un ritmo prevedibile. Non è solo una sensazione diffusa: uno studio pubblicato su Progress in Environmental Geography – e raccontato anche su The Conversation dagli stessi autori – conferma che le stagioni classiche stanno diventando irriconoscibili. E va oltre: suggerisce che stiamo entrando in un’era in cui nuove stagioni, mai esistite prima, stanno emergendo sotto l’influenza delle attività umane.
“Stagioni sincopate” e “aritmiche”: la nuova normalità climatica
Gli autori dello studio propongono un cambio di linguaggio per descrivere il caos stagionale che stiamo vivendo. Parole come “stagioni sincopate” descrivono l’alternanza sempre più frenetica tra caldo e freddo, tra siccità e alluvioni. Le estati diventano inclementi, con picchi di calore record, mentre gli inverni perdono intensità. A questi si aggiungono eventi estremi, ormai ricorrenti, che alterano ulteriormente l’equilibrio climatico. C’è poi il concetto di “stagioni aritmiche”: quelle fasi dell’anno che una volta seguivano ritmi naturali precisi – per piante, animali e anche per noi – ma che oggi si presentano con anticipo, ritardo o addirittura sembrano saltare. La primavera, ad esempio, arriva troppo presto, scombussolando la fioritura e mettendo in difficoltà gli impollinatori.
Quando una stagione scompare
Alcune stagioni, almeno localmente, sembrano essere svanite del tutto. Non c’è più un passaggio graduale dal caldo al freddo: si passa da un’estremità all’altra senza transizione, lasciando poco tempo alla natura per adattarsi. Gli animali migratori, ad esempio, devono modificare i propri cicli in base a segnali sempre meno affidabili. Questi sbilanciamenti non riguardano solo gli ecosistemi, ma si riflettono anche sulla vita umana, dall’agricoltura alla salute pubblica. In questo scenario, parlare ancora di “quattro stagioni” rischia di diventare un anacronismo.
Le stagioni create dall’uomo: foschie, plastica e nuovi ritmi

Ma il cambiamento non si limita alla trasformazione delle stagioni esistenti: secondo i ricercatori, l’umanità ha cominciato a generare stagioni completamente nuove. In Asia sudorientale, tra luglio e ottobre, la “stagione della foschia” è diventata un appuntamento annuale. Durante questi mesi, vasti incendi dolosi bruciano vegetazione per fare spazio a coltivazioni, riempiendo l’aria di fumo e particolato. A Bali, invece, tra novembre e marzo arriva la “stagione della spazzatura”: le correnti oceaniche scaricano fino a 60 tonnellate di plastica al giorno sulle spiagge, un fenomeno tanto regolare da sembrare parte del calendario. In alcuni casi, le autorità locali hanno iniziato a reagire con misure di contenimento, ma adattarsi non è sufficiente. Come ricordano gli autori, l’unica vera soluzione resta affrontare le cause all’origine – a cominciare dalle emissioni eccessive e dalla gestione insostenibile delle risorse.