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Cosa sappiamo davvero di cosa c’è sotto i nostri piedi?

Cosa sappiamo davvero di cosa c’è sotto i nostri piedi?
Photo by garten-gg – Pixabay
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Nonostante i progressi tecnologici, l’interno della Terra rimane un territorio inesplorato: il nucleo del nostro pianeta nasconde ancora misteri che la scienza fatica a spiegare.

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Nonostante le conquiste della geofisica e della tecnologia, l’accesso diretto agli strati più profondi del nostro pianeta è ancora fuori portata. Le tecniche di perforazione utilizzate per estrarre petrolio da grandi profondità non vanno oltre i 10 chilometri, e il pozzo più profondo mai realizzato si ferma a circa 12 chilometri. In confronto al raggio terrestre di oltre 6.300 chilometri, si tratta di una distanza minima, quasi trascurabile. Per ora, nessuna nazione sembra disposta a investire nelle colossali risorse che servirebbero per andare oltre.

Le perforazioni effettuate sono poche e, per quanto fondamentali, offrono solo frammenti di conoscenza diretta. Per costruire un quadro più completo, la scienza ha dovuto affidarsi a un’indagine indiretta ma incredibilmente efficace: lo studio delle onde sismiche generate dai grandi terremoti.

Onde sismiche e struttura interna: un modello costruito a distanza

Le onde sismiche, registrate da migliaia di sismografi sparsi in tutto il mondo, si comportano in modo diverso a seconda dei materiali che attraversano. Analizzando come queste onde cambiano velocità o direzione, i geofisici hanno delineato un’immagine sorprendentemente dettagliata della Terra: una struttura a strati concentrici, come una cipolla.

La crosta, lo strato più esterno, si estende fino a 70 km di profondità. Sotto di essa si trova il mantello, che raggiunge i 2.900 km. Al centro, il nucleo, che arriva a 6.370 km di profondità, si divide in due regioni distinte: un nucleo esterno liquido e un nucleo interno solido. Le onde sismiche di tipo S – che non si propagano nei liquidi – scompaiono attraversando lo strato esterno, confermando la sua natura fluida.

Il cuore incandescente della Terra

Nel nucleo esterno, composto principalmente da ferro e nichel, le temperature toccano i 3.000 °C. Ma è andando ancora più in profondità che si arriva al cosiddetto “inner core”, il nucleo interno solido. Qui la temperatura sale fino a 5.400 °C, ma la pressione è così elevata da rendere possibile la solidificazione del ferro.

Questa parte del pianeta, un “nocciolo duro” dal diametro di oltre 1.200 chilometri, si sarebbe formata circa un miliardo di anni fa. È una stima ottenuta calcolando il tempo necessario affinché la parte solida si formasse e crescesse all’interno del nucleo liquido. Una struttura ormai accettata dalla comunità scientifica, supportata da una mole di dati coerenti. Eppure, c’è ancora qualcosa che non torna.

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Un paradosso che sfida la scienza

Il punto critico riguarda la modalità con cui il nucleo interno si sarebbe solidificato. Un recente studio guidato da Matthew Willard della Case Western Reserve University ha riacceso il dibattito. Il problema, noto come “paradosso della nucleazione del nucleo interno”, è tanto affascinante quanto irrisolto.

Come spiega Ludovic Huguet, membro del team di ricerca, «affinché il ferro del nucleo liquido possa essersi solidificato, sarebbe stato necessario che la temperatura scendesse di un migliaio di gradi, ma se ciò fosse avvenuto si sarebbe solidificato l’intero nucleo, non solo una parte, e questo non è accaduto». In laboratorio, si è riusciti a innescare la formazione di un nucleo solido in un fluido ferroso inserendo frammenti già solidi, senza abbassare troppo la temperatura. Ma un simile meccanismo può verificarsi anche su scala planetaria?

Alcuni ipotizzano che pezzi di mantello si siano precipitati verso il centro, fungendo da “innesco”, ma perché sarebbe successo? E soprattutto, perché in tempi tanto rapidi? È una domanda ancora senza risposta. Come concludono i ricercatori, «è arrivato il momento che la comunità affronti la questione e dia risposta a uno dei grandi enigmi sull’evoluzione del nucleo e del pianeta».