Non tutti i venti sono innocui: in alcune aree del mondo, possono raggiungere velocità estreme e causare danni devastanti. La scala di Fujita ci aiuta a comprenderne la pericolosità.

In Italia, il vento è spesso percepito come un fastidio passeggero, ma altrove può trasformarsi in un pericolo reale. Soprattutto in presenza di tornado, la forza del vento può assumere proporzioni drammatiche. Per quantificare i danni attesi, nel 1971 il ricercatore giapponese Tetsuya Theodore Fujita sviluppò una scala di riferimento, paragonabile – per approccio – alla Scala Mercalli dei terremoti.
Fujita osservò per anni gli effetti del vento su edifici, alberi e strutture, costruendo un sistema che lega la velocità dell’aria in movimento all’intensità dei danni provocati. Questa scala, composta da sei categorie (da F0 a F5), offre uno strumento prezioso per valutare la gravità di un fenomeno eolico.
Da F0 a F5: cosa significano le categorie della scala Fujita
La scala Fujita suddivide i fenomeni ventosi in base alla velocità raggiunta e al tipo di distruzione osservata. Ecco come si articola:
- F0 (64-116 km/h): danni leggeri, come rami spezzati o cartelli divelti.
- F1 (117-180 km/h): danni moderati, tetti danneggiati e veicoli spinti fuori strada.
- F2 (181-253 km/h): danni consistenti, alberi sradicati, auto sollevate da terra.
- F3 (254-332 km/h): danni gravi, muri abbattuti, edifici compromessi.
- F4 (333-419 km/h): danni devastanti, abitazioni distrutte e strutture leggere spostate.
- F5 (420-512 km/h): danni incredibili, edifici disintegrati, oggetti pesanti proiettati a distanza.
Teoricamente, la scala prosegue fino a F12, ma categorie oltre F5 sono considerate ipotetiche, data la mancanza di dati osservativi. In pratica, 500 km/h rappresenta una soglia limite per la classificazione dei venti naturali.
Con l’evoluzione delle tecnologie e delle osservazioni sul campo, la scala è stata successivamente aggiornata nella forma della Enhanced Fujita Scale (EF), che mantiene le sei categorie, ma ridefinisce i range di velocità per renderli più realistici e aderenti ai fenomeni registrati.
Il vento ha massa, e quando si muove… colpisce
Ma cosa c’è dietro a un colpo di vento che può distruggere un’intera abitazione? Tutto parte dalla struttura dell’atmosfera: l’aria, pur essendo invisibile, ha una massa. Le radiazioni solari scaldano l’atmosfera in modo non uniforme, creando zone di pressione diversa. Quando l’aria si muove da un’area ad alta pressione verso una a bassa pressione, nasce il fenomeno che chiamiamo vento.
Questa massa d’aria in movimento, al contatto con oggetti e superfici, esercita pressioni variabili. Immaginiamola come un flusso che colpisce una costruzione: il vento genera spinte che la struttura deve resistere. Non è solo una questione di forza statica: le oscillazioni indotte, in certe condizioni, possono generare effetti amplificati, specialmente quando entrano in gioco fenomeni come la risonanza.
Un esempio emblematico è il crollo del Ponte di Tacoma nel 1940, un caso da manuale di interazione fluido-struttura, dove il vento ha messo in risonanza l’intero impalcato, fino al collasso.
Quando la velocità del vento supera ogni previsione
I venti più distruttivi mai registrati – in grado di raggiungere velocità paragonabili a un treno in corsa – sono legati a fenomeni estremi come i tornado, che si verificano più frequentemente nelle grandi pianure del Nord America. In queste aree, la combinazione tra forti contrasti termici e vasti spazi aperti crea il contesto ideale per la formazione di strutture eoliche rotanti di potenza inaudita.
Eppure, grazie alla scala di Fujita e alle sue successive evoluzioni, oggi possiamo classificare questi eventi e progettare edifici più resistenti. Riconoscere i segnali, comprendere la dinamica del vento e costruire con criteri antisismici e antiuragano diventa sempre più una necessità, anche in aree – come l’Italia – finora meno esposte ma non del tutto immuni.