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Leggende metropolitane: tra mistero, paura e immaginario collettivo

Leggende metropolitane: tra mistero, paura e immaginario collettivo
Photo by Tumisu – Pixabay
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Dagli alligatori nelle fogne di New York alla misteriosa morte di Paul McCartney: ecco perché le leggende urbane affascinano, si diffondono e, a volte, sembrano più vere del reale.

Leggende metropolitane: tra mistero, paura e immaginario collettivo
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Chi non ha mai sentito parlare degli alligatori che vivrebbero nelle fogne di New York? La leggenda racconta di cuccioli acquistati durante vacanze in Florida e poi scaricati nel water, dove sarebbero cresciuti in clandestinità nei sotterranei della città.

Un altro racconto celebre riguarda Paul McCartney: secondo la teoria del “Paul Is Dead” (PID), il bassista dei Beatles sarebbe morto in un incidente stradale nel 1966, e da allora un sosia avrebbe preso il suo posto.

C’è poi l’autostoppista fantasma, la giovane donna che chiede un passaggio per tornare a casa e lascia un indumento nell’auto del conducente. Quando l’uomo torna per restituirlo, scopre che la ragazza era morta anni prima.

Queste storie, per quanto improbabili, affascinano e circolano da decenni. Ma da dove nascono, e perché continuano a sedurre la nostra immaginazione?

Cos’è davvero una leggenda metropolitana?

Le leggende metropolitane sono racconti brevi, ambientati in un tempo recente e in contesti urbani o comunque realistici. A differenza delle fiabe, non hanno quasi mai un lieto fine né personaggi fantastici. I protagonisti sono spesso individui comuni, e la loro forza sta proprio nel sembrare plausibili.

Si tratta di storie che si muovono sul confine tra verità e finzione, alimentate dal passaparola e, oggi, dai social media. Possono nascere ovunque: in una chiacchierata tra amici, in un post virale, o da un evento realmente accaduto ma interpretato in modo distorto.

Il CeRaVolc, Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee, si occupa dal 1990 di raccogliere e archiviare queste narrazioni in Italia, proprio perché rappresentano una forma moderna di folklore.

Perché ci crediamo: tra psicologia, società e bisogno di senso

Molte leggende metropolitane attecchiscono perché rispondono a un bisogno umano profondo: colmare i vuoti di conoscenza. Quando mancano informazioni, la nostra mente tende a costruire storie per spiegare l’inspiegabile.

Un esempio emblematico è la presunta storia di una bambina salvata tra le fiamme del rogo della Grenfell Tower di Londra: una narrazione diffusa a livello globale, ma mai confermata. Forse nata da immagini reali – un bambino tenuto fuori dalla finestra per respirare – che sono state interpretate e trasformate in un racconto eroico.

Altre leggende riflettono timori radicati nella società. I furgoni bianchi che rapirebbero bambini o i rom accusati di adescamenti sono stereotipi che si trasformano in “racconti credibili” perché già presenti nel nostro immaginario collettivo.

Dal punto di vista psicologico, queste storie servono anche a gestire l’ansia: sapere che esistono segni lasciati dai ladri sulle case, per esempio, può dare l’illusione di un controllo sul rischio.

La funzione sociale delle storie che spaventano

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Photo by Mikewildadventure – Pixabay

Le leggende metropolitane non sono solo frutto di fantasia: hanno anche una funzione sociale. Servono a mettere in guardia da potenziali pericoli, a esorcizzare paure, a dare senso a ciò che non comprendiamo.

Quando si diffondono storie come quella dei tossicodipendenti che regalerebbero francobolli impregnati di LSD fuori dalle scuole, non si parla solo di una diceria: si manifesta la preoccupazione collettiva per i pericoli legati ai giovani.

Queste narrazioni funzionano come campanelli d’allarme culturali, trasformando l’ignoto in racconto. In un’epoca di fake news e iperinformazione, distinguere realtà da finzione diventa più difficile, ma proprio per questo il fascino delle leggende metropolitane non sembra destinato a svanire.