Dagli alligatori nelle fogne di New York alla misteriosa morte di Paul McCartney: ecco perché le leggende urbane affascinano, si diffondono e, a volte, sembrano più vere del reale.

Chi non ha mai sentito parlare degli alligatori che vivrebbero nelle fogne di New York? La leggenda racconta di cuccioli acquistati durante vacanze in Florida e poi scaricati nel water, dove sarebbero cresciuti in clandestinità nei sotterranei della città.
Un altro racconto celebre riguarda Paul McCartney: secondo la teoria del “Paul Is Dead” (PID), il bassista dei Beatles sarebbe morto in un incidente stradale nel 1966, e da allora un sosia avrebbe preso il suo posto.
C’è poi l’autostoppista fantasma, la giovane donna che chiede un passaggio per tornare a casa e lascia un indumento nell’auto del conducente. Quando l’uomo torna per restituirlo, scopre che la ragazza era morta anni prima.
Queste storie, per quanto improbabili, affascinano e circolano da decenni. Ma da dove nascono, e perché continuano a sedurre la nostra immaginazione?
Cos’è davvero una leggenda metropolitana?
Le leggende metropolitane sono racconti brevi, ambientati in un tempo recente e in contesti urbani o comunque realistici. A differenza delle fiabe, non hanno quasi mai un lieto fine né personaggi fantastici. I protagonisti sono spesso individui comuni, e la loro forza sta proprio nel sembrare plausibili.
Si tratta di storie che si muovono sul confine tra verità e finzione, alimentate dal passaparola e, oggi, dai social media. Possono nascere ovunque: in una chiacchierata tra amici, in un post virale, o da un evento realmente accaduto ma interpretato in modo distorto.
Il CeRaVolc, Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee, si occupa dal 1990 di raccogliere e archiviare queste narrazioni in Italia, proprio perché rappresentano una forma moderna di folklore.
Perché ci crediamo: tra psicologia, società e bisogno di senso
Molte leggende metropolitane attecchiscono perché rispondono a un bisogno umano profondo: colmare i vuoti di conoscenza. Quando mancano informazioni, la nostra mente tende a costruire storie per spiegare l’inspiegabile.
Un esempio emblematico è la presunta storia di una bambina salvata tra le fiamme del rogo della Grenfell Tower di Londra: una narrazione diffusa a livello globale, ma mai confermata. Forse nata da immagini reali – un bambino tenuto fuori dalla finestra per respirare – che sono state interpretate e trasformate in un racconto eroico.
Altre leggende riflettono timori radicati nella società. I furgoni bianchi che rapirebbero bambini o i rom accusati di adescamenti sono stereotipi che si trasformano in “racconti credibili” perché già presenti nel nostro immaginario collettivo.
Dal punto di vista psicologico, queste storie servono anche a gestire l’ansia: sapere che esistono segni lasciati dai ladri sulle case, per esempio, può dare l’illusione di un controllo sul rischio.
La funzione sociale delle storie che spaventano

Le leggende metropolitane non sono solo frutto di fantasia: hanno anche una funzione sociale. Servono a mettere in guardia da potenziali pericoli, a esorcizzare paure, a dare senso a ciò che non comprendiamo.
Quando si diffondono storie come quella dei tossicodipendenti che regalerebbero francobolli impregnati di LSD fuori dalle scuole, non si parla solo di una diceria: si manifesta la preoccupazione collettiva per i pericoli legati ai giovani.
Queste narrazioni funzionano come campanelli d’allarme culturali, trasformando l’ignoto in racconto. In un’epoca di fake news e iperinformazione, distinguere realtà da finzione diventa più difficile, ma proprio per questo il fascino delle leggende metropolitane non sembra destinato a svanire.