Oltre a PM10 e NOx, anche le piogge acide derivano da questi fenomeni, danneggiando edifici, vegetazione e aree lontane dalle città.

Nelle aree industrializzate del nostro Paese, l’inquinamento atmosferico resta una sfida quotidiana. Polveri sottili come il PM10 e gas come gli ossidi di azoto (NOx) rappresentano un pericolo costante, specialmente nei mesi invernali, quando l’assenza di pioggia aggrava la situazione. Non è raro che piogge e nevicate siano accolte con sollievo, viste come una boccata d’ossigeno in grado di spazzare via lo smog e interrompere restrizioni poco amate, come i blocchi del traffico o le domeniche senz’auto.
Ma cosa rende le precipitazioni così efficaci nel ridurre l’inquinamento? E in che modo la siccità peggiora la qualità dell’aria?
Il potere nascosto della pioggia
L’atmosfera ha dei meccanismi naturali di autopulizia. Uno di questi è la deposizione secca, in cui le particelle inquinanti ricadono lentamente al suolo per gravità o per effetto del vento. Tuttavia, è la deposizione umida, cioè la rimozione degli inquinanti attraverso pioggia o neve, a svolgere il ruolo principale.
Due fenomeni, rain-out e wash-out, lavorano insieme. Nel primo, le particelle di polvere fungono da nuclei attorno ai quali si condensano le gocce d’acqua nelle nuvole. Quando diventano abbastanza pesanti, cadono al suolo trascinando con sé altro particolato durante la discesa: è qui che entra in gioco il wash-out. Il risultato? Un’atmosfera più pulita, almeno temporaneamente.
Questi meccanismi agiscono anche sui gas come NOx e SOx, non solo meccanicamente, ma attraverso reazioni chimiche che generano sostanze acide. Ecco spiegate le piogge acide, capaci di corrodere edifici storici, danneggiare le piante e impattare su aree lontane dalle fonti di emissione.
Dati alla mano: l’efficacia delle precipitazioni
L’indice AQI (Air Quality Index) è tra i più utilizzati per valutare lo stato dell’aria. I suoi valori vanno da 0 (aria pulita) a oltre 200 (aria pericolosa per la salute). Un’analisi condotta nel 2021 su due città cinesi, Jinan e Qingdao, ha osservato l’impatto di 18 eventi di pioggia e neve sull’AQI. Nel 83% dei casi, si è registrato un netto miglioramento della qualità dell’aria, con un calo medio del 23% durante le precipitazioni e del 32% al termine. Il particolato fine (PM2,5) è diminuito fino al 42%.
Tuttavia, l’atmosfera è complessa: in tre casi su diciotto, nonostante la pioggia, l’indice è peggiorato. Possibili cause? Il ritorno delle attività inquinanti o la mancanza di moti convettivi, rallentati dai cambiamenti di temperatura dopo le precipitazioni.
Allergeni, alghe e piogge: tra sollievo e nuovi rischi

Per chi soffre di allergie stagionali o asma, le piogge possono portare un temporaneo sollievo. In primavera o estate, quando l’aria è carica di polline, precipitazioni regolari aiutano a ridurne la concentrazione. Ma attenzione: rovesci intensi e improvvisi possono avere l’effetto opposto, sollevando i pollini già depositati e diffondendoli nuovamente nell’aria.
Le piogge abbondanti, inoltre, aumentano l’umidità, creando condizioni ideali per la proliferazione di allergeni come muffe e acari. E non finisce qui. Composti come l’ammoniaca, derivati dalle attività agricole, possono essere trasformati in nitrati e sali che, depositandosi al suolo, finiscono nei corsi d’acqua. Questo può innescare la crescita incontrollata di alghe microscopiche, con effetti tossici sugli ecosistemi acquatici, un fenomeno noto come bloom algale.
Infine, c’è anche chi cerca di forzare la natura: tecniche come il cloud seeding, che prevedono l’inseminazione artificiale delle nuvole, puntano a stimolare la pioggia. Ma l’efficacia di questi metodi resta ancora al centro di un acceso dibattito scientifico.